Domenica V Quaresima
Gesù disse a Marta: “Io sono la Risurrezione e la vita”
In tempo di coronavirus
“Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra” (I lettura Ez 37, 14). È la promessa che YHWH ha fatto davanti al dramma delle ossa inaridite e della speranza svanita (v. 11).
Il Concilio Vaticano II riassume: in faccia alla morte, l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L’uomo non è tormento solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche, ed anzi, più ancora, dal timore di una distruzione definitiva… (GS 18)
Dio, in Gesù Cristo, risponde chiamando il credente ad andare oltre la limitata possibilità umana, – quindi crescendo nella comprensione tanto del mistero di Dio quanto del senso dell’esistenza umana e della storia intera, – per “ricondurre a Cristo, unico capo, tutte le cose, dandoci lo Spirito, caparra della nostra eredità in attesa della completa redenzione “ (Ef 1, 10.14), nella vita di risurrezione.
Ma “risurrezione non è una semplice nozione da apprendere, che magicamente restituisce certezze e risolve problemi: anche nella fede della risurrezione, il dolore resta, il dubbio agisce, il pianto sgorga dal cuore. Si vive nel tempo, limitati nella conoscenza e nella possibilità di comprensione, mentre lentamente prende piede la fede nella risurrezione, e dalla tentazione dell’angoscia si passa ad un atteggiamento di speranza (Sussidio pastorale Quaresima 2011 CEI).
Il diavolo ci tenta di “buttare giù dal pinnacolo”, perché Dio “ha dato ordine ai suoi angeli a nostro riguardo, ed essi ci porteranno sulle loro mani” (Mt 4, 6). Ma non possiamo tentare il Signore nostro Dio: non possiamo disobbedirgli per vedere fino a che punto arrivi la sua pazienza né tanto meno in questo caso, “fare uso della sua bontà per interessi propri” (Nota j TOB (Mt 4, 7).
Siamo tentati sempre a mettere in dubbio la logica con la quale Dio conduce la storia. Come Tommaso, pensiamo che il ritorno in Giudea, sia un suicidio: “andiamo anche noi a morire con lui” (Vangelo Gv 11, 16).
Il Vangelo della III domenica ci ha proposto l’immagine di quella donna che si nascondeva dalla gente per la sua storia poco fortunata, pur di pagando a caro prezzo con il caldo di mezzogiorno questo nascondimento, ma il Maestro le è venuto a cercare al pozzo per liberarla.
Il vangelo della IV domenica ci ricorda la fermezza della fede che dobbiamo avere, anche se dovessimo subire l’esclusione o la discriminazione dalla parte dei potenti o della società stessa e dei nostri cari che rispondono semplicemente: “ha l’età, chiedetelo a lui” (Gv 9, 23), ma Gesù è venuto a ritrovarlo per confermare la sua fede nel Figlio di Dio, fatto uomo.
In questa domenica, proprio i nostri fratelli, la nostra società che ci escludono, ci seppelliscono, mettendo anche sopra delle pietre. Ma anche lì, dopo ogni speranza umana, il quarto giorno, (i giudei aspettavano il terzo giorno per dichiarare morta una persona), il Cristo è venuto a liberarci.
Per cogliere la logica di Dio, è necessario vivere secondo lo Spirito che dà la vita, lo Spirito che ha risuscitato Cristo dai morti (II lettura Rm 8, 8-11).
La malattia di Lazzaro avviene per la gloria di Dio: non porterà alla morte ma alla glorificazione del Figlio e alla fede dei testimoni. Parole misteriose per i discepoli e anche per noi credenti. Il tempo della “quarantesima” che stiamo vivendo è tempo che ci prepara alla contemplazione della gloria di Dio.
Una volta ancora, Giovanni ci fa capire il “tempo” di Dio che supera la logica dell’uomo. Sugli occhi ciechi ha spalmato il fango! Invece di intervenire prima che morisse Lazzaro, ha aspettato quattro giorni dopo la sepoltura. Quante volte preghiamo e le cose vanno peggiore? Il silenzio di Dio si fa pesare sull’impazienza dell’uomo e fa crollare la fede.
Il Cardinale Martini, nella sua riflessione sull’incontro al Signore Risorto, si riferisce al libro di Ignazio Larranaga (Mostrami il tuo volto, Milano, Paoline, 2004) per mostrare la difficoltà di questo rapporto:
“La cosa più difficile per coloro che si sono imbarcati nell’avventura della fede, è di avere pazienza con Dio. La condotta del Signore con quelli che gli si dedicano è molto spesso disorientante, non c’è logica nelle sue relazioni, perciò non c’è proporzione tra i nostri sforzi per scoprire il suo volto velato e i risultati di tali sforzi, e molto perdono la pazienza e sconfortati abbandonano tutto. Nel dinamismo dell’economia di Dio esiste solo una direzione: quella del dare. Nessuno può esigere da Lui alcunché; nessuno può interrogarlo, affrontandolo con domande”.
Ma il miracolo porta alla fede? La risposta di Cristo è chiara a riguardo: “Se credi, vedrai la gloria di Dio” (v. 40); “chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno” (v.25s). Credere come?
La “vita eterna” l’uomo la trova mediante la “conoscenza” – presupponendo con ciò il concetto veterotestamentario di “conoscere”, secondo cui conoscere crea comunione, è un essere tutt’uno con il conosciuto… non qualunque conoscenza, bensì conoscere l’unico vero Dio e colui che ha mandato, Gesù Cristo. Il cristiano non crede una molteplicità di cose. Crede, in fondo, semplicemente in Dio, crede che esiste solo un unico vero Dio.
« Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: “Io sono la risurrezione e la vita… Credi questo?” (Gv 11,25-26). Per la comunità cristiana è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù di Nazareth: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo” (v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della nostra esistenza: Dio ha creato l’uomo per la risurrezione e per la vita, e questa verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all’economia. Privo della luce della fede l’universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro senza futuro, senza speranza » (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth II¸ p. 98-99).
Ecco perché l’Eucaristia, come comunione con Cristo, è farmaco di immortalità. “L’uomo ha trovato la vita quando si attacca a Colui che è Egli stesso la vita” (Id. p. 100).
La fede è quella “luce che illumina dall’interno”, che dà senso all’esistenza e apre lo sguardo al senso ultimo della nostra esistenza. Questa fede è la partecipazione alla risurrezione di Cristo. infatti, abbiamo meditato durante la quaresima il messaggio del Papa che ci ricorda la dimensione battesimale della nostra fede e la vita di preghiera:
“È salutare contemplare più a fondo il Mistero pasquale, grazie al quale ci è stata donata la misericordia di Dio. L’esperienza della misericordia, infatti, è possibile solo in un “faccia a faccia” col Signore crocifisso e risorto «che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Gal 2,20). Un dialogo cuore a cuore, da amico ad amico. Ecco perché la preghiera è tanto importante nel tempo quaresimale. Prima che essere un dovere, essa esprime l’esigenza di corrispondere all’amore di Dio, che sempre ci precede e ci sostiene. Il cristiano, infatti, prega nella consapevolezza di essere indegnamente amato. La preghiera potrà assumere forme diverse, ma ciò che veramente conta agli occhi di Dio è che essa scavi dentro di noi, arrivando a scalfire la durezza del nostro cuore, per convertirlo sempre più a Lui e alla sua volontà” (Messaggio 2020).
La risurrezione di Lazzaro è un segno che anticipa la glorificazione del Figlio, ma ci mostra anzitutto che Gesù è il Signore della vita, nella comunione con Lui, nella conversione alla sua volontà, come dice il Papa, troviamo la vita.
Nel preconio pasquale, cantiamo: “Con la morte e la risurrezione tutto ci è stato donato, perché l’umiliazione di un Dio ci insegni la mitezza di cuore e la glorificazione di un uomo ci offra una grande speranza”.
Questo mistero, lo viviamo nella celebrazione eucaristica. ma può diventare un’abitudine, non un atto di amore che ci fa partecipare alla natura divina di Colui che si umilia assumendo la nostra natura umana. Forse non possiamo celebrare il rito della Messa, ma niente ci impedisce di vivere il mistero che contiene la celebrazione.
Papa Benedetto XVI ci ricordava nel suo messaggio per la Quaresima di 2011 una verità essenziale sulla fede: “Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da bambini mette in evidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di vivere nella propria esistenza “gli stessi sentimenti di Cristo Gesù” (Fil 2,5), viene comunicata all’uomo gratuitamente”.
Consapevoli di questo dono, dobbiamo partecipare all’azione sacra del ringraziamento per eccellenza “consapevolmente, piamente e attivamente” (Sacrosanctum Concilium n. 48). Il concilio ci ricorda che i fedeli, “formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo e del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e do giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro”.
È tempo di formarci alla Parola di Dio, di nutrirci della comunione al suo corpo, che è la chiesa. Ricordo sempre che anche se sta mancando il Pane che è “Corpo sacramentale” di Cristo, non ci sta mancando “il popolo riunito” che è il Corpo guidata da Lui, unico capo.
Preghiamo dunque Dio perché la nostra partecipazione “diversamente” al mistero eucaristico ci faccia vivere e agire sempre in quella carità, che spinse Gesù a dare la vita per noi (Colletta).